conosci te stesso

IL SIGNIFICATO PSICOLOGICO DELLA FATICA

Che rapporto ho con la fatica?

Come sono stato educato alla fatica?

Qual è il senso psicologico della fatica?

Ogni generazione ha il proprio significato di tale concetto: nel passato, anche solo fino a qualche decennio fa, per i nostri nonni questa parola faceva parte della normalità, dal lavoro nei campi a quello in fabbrica, all’aiuto che si dava nella gestione delle faccende domestiche.

Differente è inoltre il tipo di educazione che si riceveva.

Dai racconti dei nostri genitori, ad esempio, emerge un quadro nel quale i figli erano abituati, sin nelle piccole cose, ad impegnarsi e rendersi partecipi e responsabili nella vita familiare: rifare il proprio letto già da piccoli, raccogliere i giochi, aiutare la mamma ad apparecchiare la tavola, fare i compiti prima di ogni qualsiasi attività ludica.

La fatica rappresentava quindi un naturale passaggio, al quale ci si avvicinava per piccoli passi. Nel mondo interno del bambino si instaurava così la rappresentazione mentale che vi erano dei compiti da svolgere che dovevano essere eseguiti, che si volesse o meno farlo.

Da adulti, il senso del dovere sviluppato ci aiuta costantemente ad affrontare ciò che ci compete fare.

Chi più, chi meno.

Ad oggi, la situazione sembra essere un po’ cambiata.

Nella mia professione, incontro molti giovani adulti  che lamentano parecchie difficoltà nell’affrontare la quotidianità. Adolescenti che riferiscono di sentirsi demotivati, stanchi e demoralizzati dinnanzi allo svolgimento di un compito, a tal punto di avere bisogno di qualcuno – generalmente un adulto – che li aiuti nello sviluppare anche le più piccole situazioni.

Si definiscono depressi, privi di energie ed arrabbiati.

La nostra è una società narcisistica.

Viviamo il tempo del “tutto e subito”, un’epoca che promuove la pigrizia, l’accidia, la noia e la tristezza.

La Psicologia Individuale definisce una delle molteplici cause nella viziatura dei nostri bambini.

Mettere in ordine la stanza, fare i compiti di scuola sostituendosi al proprio figlio, perché si è presi da una miriade di impegni, perché si è troppo stanchi per gestire la loro resistenza alla fatica. E’ più semplice quindi prendere il loro posto.

Se subentriamo loro alleviamo poi le nostre ansie di genitori, sul momento, ma non li aiutiamo: è come se gli dicessimo che non sono in grado di farcela da soli. Al contrario, se li educhiamo alla fatica, li guidiamo ad andare verso il mondo e non verso il subire il mondo.

Le difficoltà possono emergere, infatti, nel momento in cui si diventa anagraficamente adulti, e la società richiede – anzi pretende – prestazioni ottimali nel lavoro, nelle relazioni.

E se non si è abituati alla fatica, possono emergere sensazioni di rabbia, di frustrazione e di insoddisfazione. Si rischia di entrare in un loop emozionale che non ci permette di comprendere cosa desideriamo realmente.

Vi sono situazioni in cui, ad esempio, il bambino tende a non esprimere le proprie necessità perché costantemente anticipato dall’adulto, ansioso e preoccupato che il proprio figlio possa sentirsi frustrato.

Il punto è che è importante che il bambino esperisca questa sensazione, al fine di apprendere delle strategie per poterla gestire, anche da adulto.

La fatica è parte fondamentale del processo di crescita per ciascuno di noi.

Non soltanto nell’ottica del fare, nello sviluppo del senso del dovere, bensì nell’articolazione della modulazione delle emozioni, nel loro controllo.

Fatica non è necessariamente sinonimo di affanno, di debolezza.

Un mio giovane paziente, che pratica alpinismo, mi descrive la gioia immensa che prova quando raggiunge gli obiettivi che si prefigge.

Traguardi che richiedono un enorme impegno, e molta fatica: “ci sono dei momenti in cui mi sembra di non farcela.. ma il senso di sfida, prima di tutto con me stesso, mi spinge ad andare avanti, a tenere duro.. la fatica diventa in quei momenti, per assurdo, la mia migliore amica. I muscoli ed il fiato sembrano cedere. Ma il dolore mi ricorda di spingere,  che sono vicino. E quando sono su, la mia mente si libera e sento solo la pace dentro di me. E’ tutta questione di avere bene in mente i propri obiettivi e di fare quello che amiamo fare”.

Consiglio spesso ai genitori di sostenere i figli nello svolgere qualche sport. Che sia di squadra o meno, può aiutare il bambino, l’adolescente a tollerare maggiormente la fatica, e le emozioni da essa suscitate. L’aspetto fondamentale è che tale attività riesca a coinvolgerlo e ad appassionarlo.

Aiutare quindi i giovani ad interessarsi per non subire la fatica, e non viverla come una punizione.

La clinica e la vita ci insegnano infatti che senza l’impegno non si ottiene gratificazione, non si raggiunge un autentico senso di appagamento che ci permette di aumentare la nostra autostima, l’immagine che abbiamo di noi stessi.

Anche la psicoterapia è fatica.

Tutto ciò che arriva nella nostra vita, a seguito di un percorso impegnativo, può solo condurci verso un cambiamento, nella direzione di una maggiore consapevolezza del nostro Io, della nostra identità e dell’accrescimento della nostra autostima. Il cambiamento richiede infatti fatica perché prevede l’applicazione di azioni innovative.

E’ necessario quindi, come psicoterapeuti, incoraggiare, anche se è faticoso, creare una spinta al cambiamento, rilanciare delle méte, delle finalità ai nostri pazienti ed aiutarli a gestire la resistenza alla fatica.

In conclusione, come mi riportò un giorno D.:” sono riuscito ad arrivare in cima, nonostante le difficoltà, nonostante le cadute. La fatica per me è diventata un valore. Ringrazio la fatica che ho sentito perché nei sentieri di montagna ho capito chi sono, ho capito quanto posso essere forte e soprattutto, ho capito che se ci credi, ogni cosa è possibile”.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su